Un romanzo russo, di Emmanuel Carrère
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Un romanzo russo, di Emmanuel Carrère

Un romanzo russo, di Emmanuel Carrère

Un ungherese senza memoria e dall’identità incerta viene imprigionato alla fine della seconda guerra mondiale e passa più di cinquant’anni nell’ospedale psichiatrico di una cittadina russa sperduta nel nulla, distante centinaia di chilometri da Mosca, prima di essere restituito ormai novantenne alla discendenza di quella che era stata la sua famiglia.

Un romanzo russo, l’autofiction di Emmanuel Carrère in libreria per Adelphi, inizia col racconto del viaggio che l’autore compie verso Kotel’nič per girare un reportage su questo strano caso; un viaggio che però, ben presto, diventa un tentativo di catarsi.

Un romanzo russo

Carrère descrive Kotel’nič come “una specie di tre stelle dello straniamento depressivo”, un luogo anonimo che somiglia a milioni di altri luoghi anonimi e diventa interessante solo in quanto teatro di una storia dal retrogusto malinconico, quale può essere quella di un uomo dimenticato in un sanatorio mentale.

La vicenda del soldato imprigionato con l’accusa di collaborazionismo non esaurisce però il desiderio di Carrère, che con la sua troupe lavora a trenta gradi sottozero per girare immagini e intervistare persone che disattendono ogni promessa di sensazionalismo. Accade tuttavia qualcosa di imprevisto, e l’immersione in un posto ameno diventa per l’autore l’occasione di ricongiungersi con il passato della sua famiglia, che ha origini russe.
Servono meno di trecento pagine all’autore francese per intrecciare la storia dell’ungherese a quella del nonno materno di origini russe, scomparso nel 1944 in circostanze misteriose, un uomo che ha vissuto senza regole e con il quale, nonostante gli anni passati, gli eredi devono ancora fare i conti.
Il viaggio nel passato è un viaggio soprattutto linguistico; Carrère riprende lo studio del russo convincendosi che afferrare la lingua sia l’unico modo per recuperare la memoria dei fatti che riguardano il nonno e liberarsi del passato che la madre non gli consente di raccontare, timorosa di dar forma al tormento che la perseguita da molto tempo.

Il registro della narrazione cambia in continuazione, così come cambiano gli interlocutori. L’autore si rivolge a sé stesso ma anche alla madre, e alla compagna Sophie, alla quale dedica pagine impudiche e sfacciate.

Il personaggio di Sophie non è forse il principale ma è sicuramente il più manifesto; quando Carrère parte per il primo dei due viaggi che compirà a Kotel’nič, i due stanno insieme da poco e vivono la fase della relazione caratterizzata dalla passione e dal godimento dei reciproci corpi.
In questo libro, che copre uno spazio temporale di oltre due anni, Sophie è sia oggetto del desiderio che bersaglio delle ossessioni dell’autore. La loro relazione si muove su un sentiero che sembra franare sotto il peso della paura e del dubbio, ma che nell’offrire continui appigli regala la speranza – l’illusione?- della continuità.
“Come se non fossi degna di te, come se nella tua vita io fossi solo una parentesi piacevole in attesa di incontrare la donna giusta. (…) Ho pensato che eri troppo sicuro del mio amore per te, troppo sicuro che, se uno dei due doveva lasciare l’altro, quello saresti stato tu. Sono stata arrabbiata con te per questo, terribilmente”.
Così Sophie, in uno dei passaggi più toccanti del testo che, va detto, non si affida a sottigliezze o panegirici ma esibisce uno stile diretto, severo, che conferisce all’opera un profondo senso di realismo.
E proprio a Sophie è diretto un esperimento letterario che porta Carrère a pubblicare su Le Monde un racconto erotico che con ostentazione mostra ai lettori le perversioni della coppia, esponendo la compagna al pubblico ludibrio.

Sono molti gli aspetti che fanno di Un romanzo russo un libro importante, e dal mio punto di vista imperdibile.
C’è la narrazione alla quale Carrère ci ha abituati, nella quale realtà e introspezione si mescolano dando forma a una struttura che fluisce e incanta.
C’è l’amore per il sapere, che trasuda da ogni pagina insieme al bisogno dell’autore di affermarsi e riconfermarsi come intellettuale, e c’è soprattutto la vanità intesa come l’attitudine a esibire il compiacimento per ciò che si crede di aver compreso.
Carrère nello sbatterci in faccia la vanità di cui è permeato sfiora a tratti la superbia, ma a rendere non solo tollerabile ma addirittura stupefacente questo aspetto che facilmente potrebbe essere considerato un esempio di odiosa supponenza, c’è la sincerità con la quale ci comunica che quello che gli interessa non è essere saggio, ma assomigliare a sé stesso, o all’idea che di sé stesso si è fatto.

Carrère, Emmanuel, Un romanzo russo, Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella e Maria Laura Vanorio, pp. 283, euro 19,00

Emmanuel Carrère è scrittore, regista e sceneggiatore francese.
Tradotta in Italia dal 1996 al 2011 per l’editore Einaudi, che ne ha pubblicato 5 titoli, l’opera di Carrère viene rilanciata nel 2012 da Adelphi con la biografia del controverso personaggio Limonov, bestseller di vendite, e la ripubblicazione delle opere precedenti.
Nel 2015 sempre per Adelphi esce Il regno, a cui seguono A Calais (2016), Io sono vivo, voi siete morti (2016), Propizio è avere ove recarsi (2017), Un romanzo russo (2018).

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